INTERVISTA CON UGO SCASSA DI
FRANCO FANELLI
La storia di questa
arazzeria è anche quella di un uomo, Ugo Scassa che ha avuto l'idea, negli anni
cinquanta, di abbinare l'arte d'avanguardia a una delle più antiche fra le arti
applicate.
Scassa, per questa intervista, ci riceve nei laboratori della Certosa di
Valmanera, istituita nell' XI secolo dai Monaci vallombrosiani alle porte di
Asti, che da qualche tempo ospita anche il museo dove il fondatore conserva la
sua collezione privata di arazzi.
È una raccolta che documenta i rapporti intercorsi con artisti come Corrado
Cagli e Felice Casorati, Giorgio de Chirico e Renato Guttuso,
Umberto Mastroianni e Mirko Basaldella, Luigi Spazzapan ed Emilio Vedova,
ma anche con un architetto come Renzo Piano, che ha fatto tradurre ad «alto
liccio» i suoi disegni. Senza contare le opere che Scassa ha realizzato in
omaggio agli artisti più amati, come Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Joan Miró,
Henri Matisse, Max Ernst e Giorgio de Chirico.
Signor Scassa, com'è nata l’idea dell’arazzeria?
Tutto nasce dalla mia passione per l'arte
figurativa e dal desiderio di trasformare questa mia passione in un personale,
concreto coinvolgimento. Consapevole di non avere le qualità e le capacità
creative dei grandi maestri contemporanei che, grazie a questo mio interesse,
avevo avuto occasione di conoscere e studiare, in alternativa alla possibilità
di diventare al massimo uno dei tanti «pittori della domenica» che già
infestano il mercato purtroppo anche «nei giorni ferali», preferii avvicinarmi
all'arte moderna in modo più sommesso, prima come suo divulgatore fondando a
Torino, nella seconda metà degli anni cinquanta, con il pittore Filippo
Scroppo, la galleria Il Prisma, e in seguito come suo interprete. In
quest'ultima veste, a distanza di più di quarant'anni, posso dire di avere
avuto un discreto successo ed enormi soddisfazioni. Sa qual è, forse, il
miglior complimento che io abbia ricevuto sulla mia attività? Quello di Carlo
Ludovico Ragghianti, che, proprio lui, mi definì un grande critico d'arte.
Che cosa voleva dire?
Voleva dire che alla
lettura di un'opera attraverso la sua traduzione in arazzo presiede una
raffinatissima analisi delle strutture compositive, cromatiche e materiche. È
attraverso questa analisi che io posso dirigere il lavoro delle mie tessitrici.
Ritengo che l'arte dell'arazziere sia paragonabile a quella di un maestro
concertatore. Come il direttore d'orchestra, con il concorso degli orchestrali
da lui diretti, dà una personale interpretazione di una composizione musicale e
il risultato sarà, artisticamente, tanto più alto quanto più bello sarà lo
spartito prescelto e quanto più sensibile e profonda la sua interpretazione,
così 1'arazziere, con 1'aiuto di esperte tessitrici, realizza un arazzo con la
lettura attenta e critica di un'opera d'arte figurativa che, in tal caso,
diventa il suo spartito.
Torniamo al periodo della galleria...
Quell'esperienza era
concepita come estensione dell'attività di un negozio di esposizione e vendita,
a Torino, dei prodotti della manifattura Redan di Pinerolo la cui principale
attività era costituita dalla produzione di tappeti, annodati a mano, su
cartoni di pittori contemporanei. In quel periodo furono organizzate mostre
personali di Enrico Baj, Sandro Cherchi, Lucio Fontana, Arnaldo Pomodoro, Asger
Jorn, Erich Keller ed altri mentre nel contempo io cominciai ad impratichirmi
nel lavoro di annodatura a mano dei tappeti e nella tintura delle lane
necessarie alla manifattura, che nel frattempo era stata trasferita ad Asti
sotto il nome di "Italia disegno". Fu proprio in occasione della
tintura della lana per un tappeto su cartone di Ettore Sottsass che decisi di
tingere una maggiore quantità di lana sufficiente per la tessitura
E questo fu il mio primo arazzo, tessuto con la tecnica ad "alto liccio"
che, a giudizio della commissione artistica presieduta Giulio Carlo Argan, mi
consentì di vincere il concorso indetto dalla Società di Navigazione Italia per
l'esecuzione di sedici arazzi che gli architetti Monaco e Luccichenti avevano
previsto come decorazione del salone delle feste di prima classe della
turbonave "Leonardo da Vinci".
Come riuscì a onorare quella committenza?
Fu un impegno immane; ci
trovammo, io e le mie allora giovanissime ventidue collaboratrici, che avevano
alle spalle una gran de capacità di annodatura di tappeti ma un'unica
esperienza di tessitura ad «alto liccio», a dover ultimare, in sei mesi, sedici
arazzi per una superficie complessiva di sessanta metri quadrati. Mi ricordo
che, pur avendo lavorato, come testimonia il libretto quindicinale su cui
segnavo le ore lavorative e che ancora conservo per ricordo, per tredici ore
anche nel giorno di Pasquetta di quella lontana primavera del i96o, riuscimmo a
consegnare a bordo l'ultimo dei sedici arazzi solo all'antivigilia della prima
traversata atlantica da Genova a New York.
Chi erano gli artisti scelti per quell'impresa?
I sedici arazzi erano
così suddivisi: sei su cartoni di Corrado Cagli, uno di Giuseppe Capogrossi,
tre di Antonio Corpora, due di Santomaso, tre di Turcato e uno di
Bernini. Con questo lavoro iniziò la fortunata collaborazione con Corrado
Cagli, che durò ininterrottamente fino alla morte del maestro nel 1976.
Se la mia arazzeria può felicemente oggi compiere i suoi quarant'anni di
attività buona parte del merito va proprio a lui. Egli fu l'unico, dopo
l'esperienza della Leonardo da Vinci, a credere nelle mie qualità di arazziere
e a ritenere che valesse la pena di continuare nelle arti applicate quella
collaborazione, per me entusiasmante, tra artisti e artigiani che già nei
secoli passati aveva dato risultati tanto lusinghieri. Inoltre agli inizi egli
riuscì a coinvolgere nell'interesse per i miei panni tessuti altri suoi amici e
colleghi quali Avenali, Clerici, Guttuso, Mastroianni e Mirko, i quali
divennero anch'essi, come Cagli, i miei committenti, sollevando mi così da una
delle maggiori preoccupazioni per un'arazzeria esordiente, ancora poco
conosciuta e per di più attiva in un paese come l'Italia: la vendita dei
propri manufatti.
In Francia l'arte
arazziera è fortissima anche sul versante moderno, e i francesi sono anche noti
per la stretta difesa dei prodotti nazionali. Come riesce a fronteggiare quella
concorrenza?
Io lavoro secondo
concetti ben diversi rispetto ai francesi. Per quanto concerne la qualità del
cartone, oriento le mie scelte verso le opere dei più bravi e affermati artisti
contemporanei anziché, come pretenderebbe la corporazione dei «peintres
cartonniers» verso i loro cartoni. Però anziché costringere gli artisti a
realizzare espressamente cartoni da tessere in arazzo con il rischio di creare
al loro linguaggio pittorico tutte le limitazioni che i pittori « cartonniers»
s’impongono, ritengo più utile scegliere, tra le loro opere quelle che
considero, proprio perché più aderenti al mezzo tecnico con cui saranno
riespresse, le più adatte ad essere utilizzate come cartoni d'arazzo.
Questo orientamento
consente di avere la possibilità di attingere cartoni di tutta la produzione
pittorica di ogni singolo artista anziché trovarsi alle prese con un solo
cartone che, oltre a richiedere un impegno specifico per la sua preparazione,
potrebbe rivelarsi una volta finito poco adatto alla trasposizione in arazzo.
II linguaggio pittorico, nell'arte figurativa contemporanea, si esprime
attraverso le più diverse e spregiudicate innovazioni stilistiche. È perciò
necessario adottare una tecnica che consenta, pur rimanendo aderente ai canoni
classici della tessitura di arazzi, di trasferire nei tessuti tutti quegli
elementi suggeriti nel cartone e che concorrono a rendere l'arazzo un'opera
d'arte.
Può fare un esempio concreto?
Chiunque abbia in mente una delle «carte» di Cagli, uno di quei dipinti cioè ottenuti con una carta spiegazzata sulla quale la luce e il colore giocano con un'infinità di effetti, può capire che la sua trasposizione in arazzo richiede una tecnica tale che consenta di conservare, nella nuova opera, la preziosità delle mille raffinatezze luministiche che rappresentano la dominante artistica del dipinto.
Per ottenere ciò,
abbiamo rinunciato al tipo di tessitura più facile e comoda da realizzare, vale
a dire la giustapposizione di parti di tessuto di colore uniforme e che, al
massimo, si sfumano uno nell'altro mediante il tratteggio, e di adottare invece
quella più difficile e lenta del tessuto cangiante.
Questo risultato si ottiene mescolando nella medesima matassina parecchi
filati di colori e tonalità diverse. Se poi, nella tessitura, si impiegano
più matassine composte con accoppiamenti di colori diversi si otterrà una gamma
cromatica e tonale praticamente illimitata. Questa tecnica consente risultati
impossibili ad ottenersi in altro modo e, in sostanza, permette di trasferire
in arazzo, senza snaturarle, ma anzi in alcuni casi esaltandole, le più svariate
forme di linguaggio pittorico con cui si esprime oggi 1'arte figurativa.
Inoltre questo procedimento riaffida all'arazziere quella larghissima libertà
interpretativa considerata da tutti gli studiosi come l'elemento determinante,
nel periodo di maggior fulgore, della qualità e del valore artistico del
tessuto d'arazzo e come una delle maggiori cause della sua decadenza quando
venne progressivamente attenuandosi. Una libertà interpretativa inimmaginabile
da chi è solito lavorare ad esempio con la tecnica di tessitura attualmente
adottata nelle moderne arazzerie francesi e della quale fu il primo promotore
Jean Lurçat. Esse hanno talmente semplificato le loro tecniche che il cartone
può addirittura essere semplicemente disegnato, con contorni precisi, indicando
ogni zona di colore con una cifra o un numero corrispondente a una tinta,
precedentemente scelta, in un predeterminato campionario di lane colorate.
Questo metodo, se è vero
che ha facilitato al massimo,l'impegno del pittore «cartonnier» evitandogli
addirittura la necessità di dipingere i suoi bozzetti e ha reso molto più
semplice e veloce il lavoro di tessitura, ha però anche limitato moltissimo le
possibilità espressive personali di ogni artista e ha ridotto il contributo del
1'arazziere al solo fatto meccanico di tessitura, piatta e uniforme, di un
tessuto in cui disegno e colori sono stati precedentemente e rigorosamente
stabiliti da altri.
Come hanno reagito gli artisti alle sue interpretazioni?
Mi è sempre stata lasciata
da tutti gli artisti con cui ho collaborato la massima libertà interpretativa.
Il cartone viene normalmente scelto di comune accordo tra l'autore e me,
cercando di conciliare le scelte stilistiche del pittore con le esigenze
tecniche della tessitura. Scelta l'opera, che mi viene affidata per tutta la
durata della tessitura e che io utilizzo direttamente come «gran patron», senza
il passaggio intermedio dell'ingrandimento del bozzetto nelle misure
dell'arazzo, si provvede inizialmente alla tintura delle lane che viene
effettuata, di volta in volta per ogni arazzo, secondo la gamma cromatica
suggerita dal cartone. Nel mio laboratorio, infatti, non esiste alcun
campionario di lane colorate.
A tintura avvenuta i
colori dei filati vengono campionati secondo la tecnica dei colori cangianti o
mélange già descritta. Sulle catene d'ordito, tese verticalmente tra i due
rulli del telaio, si provvede a tracciare con inchiostro indelebile i contorni
del disegno riportato direttamente sull'ordito, mediante l'impiego di un
proiettore. Quest'altra innovazione mi ha consentito di evitare l'ingrandimento
in grandezza naturale del bozzetto nel cartone, permettendomi così di
raggiungere una maggiore fedeltà grafica nella trasposizione del disegno
direttamente dal bozzetto all'arazzo. Un altro accorgimento tecnico adottato e
rivelatosi subito utilissimo è stato quello di consentire alle tessitrici di
operare sul diritto, anziché sul rovescio, come si usava nelle tecniche
antiche e come si usa del resto ancora oggi in altre manifatture e di
effettuare quindi in modo diretto il confronto della parte tessuta con il
bozzetto anziché attraverso la riflessione sullo specchio posto dietro
l'arazzo, sul rullo inferiore. Tracciato il disegno sui fili d'ordito si
provvede a tessere e a sfumare le zone delimitate dal disegno con le matassine
di lane colorate precedentemente predisposte e campionate. A questo punto le
tessitrici, senza l'ausilio alcuno di cifre o campioni, ma con il solo uso
della loro abilità tecnica e della loro capacità interpretativa, «arpeggiando»
sulle catene d'ordito «passata» dopo «passata», eseguendo quegli «avanzamenti»
che consentono di costruire di volta in volta il disegno, scegliendo tra le
miriadi di colori a disposizione, eseguono sotto la direzione dell'arazziere
quell'opera che di per sé ha valore artistico autonomo e di cui l'opera
pittorica iniziale non è che, per tornare al paragone fatto in precedenza, lo
spartito musicale.
Qual è il prezzo attuale di un arazzo tessuto nel suo
laboratorio?
II costo di un arazzo è
direttamente proporzionale ai tempi di tessitura. Parliamo di circa cinquecento
ore lavorative per metro quadrato; l'arazzo di Cagli «Apollo e Dafne», tessuto
nel 196'7 per la collezione Angelo Rizzoli, ha richiesto novemila ore lavorative,
con cinque tessitrici al lavoro per nove mesi, sabati inclusi.
In quale misura intervengono le nuove tecnologie?
Quando impostai sul telaio il mio primo arazzo
seguivo unicamente il richiamo della mia passione, animato dalla convinzione
che l'arazzo potesse ritrovare la propria attualità, che meritasse di tornare
ad essere un mezzo, e non l'ultimo di sicuro, di espressione artistica del
mondo moderno. Era entusiasmante l'idea di provare a fondere, e con successo,
in una unitaria espressione poetica una tecnica millenaria con le più
spregiudicate innovazioni stilistiche dell'arte figurativa moderna. E, ciò che
più mi stimolava, era che una tecnica rimasta volutamente immutata, senza nulla
alterare della sua strumentalità, si vivificasse nell'incontro con quelle nuove
invenzioni stilistiche che testimoniano una sensibilità estetica diversa che
nel passato.