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Ugo Scassa e i suoi arazzi
ETTORE SOTTSASS
La signora Tron
aveva un bar e un ristorante a Pinerolo, sulla strada tra Torino e il Sestrière.
La signora Tron era
Ero alla prime
armi. Avevo perso troppo tempo a fare la guerra e tutto il resto; e poi negli
anni cinquanta mi sembrava di essere più un pittore che un architetto e forse lo
aveva sospettato anche la signora Tron perché un giorno mi ha chiesto se potevo
farle disegni per arazzi. Mi ha detto che aveva un posto con signorine molto
brave per fare arazzi e poi mi ha detto che avrebbe aperto un negozio a Torino e
mi ha .chiesto se volevo disegnare anche il negozio. E così dopo qualche mese
c'era il negozio con dentro gli arazzi, a Torino in via Viotti, sotto i portici.
La signora Tron
era stata molto coraggiosa con tutta quella fiducia nella modernità, nel disegno
moderno, nella pittura o decorazione moderna che in Italia in quei tempi
interessava ben poco e a Torino ancora meno: la fabbrica di automobili non si
era ancora attribuita il progetto della società torinese e quella società era
ancora vagante tra le rovine della città disegnata dai Savoia. Rovine tanto
ingombranti che ho cambiato aria. Da Torino sono venuto a Milano.
Come può succedere
spesso, piano piano, il silenzio ha invaso lo spazio tra me e la coraggiosa
signora Tron. Non so che cosa sia successo. Non so dov'è la signora Tron. So che
nella via Viotti a Torino non c'è più il negozio degli arazzi. So che non passo
più da Pinerolo per andare a sciare al Sestrière e so che non mi fermo più al
bar della signora Tron. Qualche giorno fa, mentre cercavo di sopravvivere alle
telefonate, all'e.mail, ai fax, ai computer, a Internet, alle interfacce e alle
interazioni, un signore, che in quel momento mi sembrava sconosciuto, ha chiesto
di entrare nello studio.
Ha detto di
chiamarsi Ugo Scassa e, parlando molto rapidamente con accento piemontese, mi ha
detto che da anni faceva arazzi su disegni di artisti italiani e non; ha detto
che i suoi arazzi erano stati esposti in molte grandi gallerie e musei; ha detto
che aveva molte signorine bravissime a lavorare gli arazzi, che questi arazzi
gli riusciva anche di venderli, anche a signori arabi, lontani; ha detto che in
un arazzo certe volte c'erano anche centinaia di colori e che colorava le lane
nel suo laboratorio con colori chimici perché quelli naturali le corrodono. Ha detto che la cosa era complicatissima, che era anche molto complicato accontentare gli artisti; ha detto che aveva lavorato con Corrado Cagli, Max Ernst, Spazzapan, Mastroianni, Guttuso... Ha detto che era molto contento di fare arazzi ma che non era facile sopravvivere, che gli arazzi costavano troppo, potevano comprarli soltanto i governi o le banche o qualche rara volta le società o qualche miliardario; ma ha detto che andavano bene soltanto per decorare stanze molto grandi, grandi saloni, nelle navi dove si fanno le feste e poi ha detto che l'arazzo era meglio dell'affresco perché si poteva arrotolare e mettere in un altro posto e ha detto che adesso avrebbero fatto un libro con le foto degli arazzi. Mi ha chiesto se avrei scritto qualcosa per il libro e io gli ho chiesto: «Conosceva la signora Tron?». «Certo - ha detto - l'idea è cominciata con la signora Tron. Alla fine degli anni cinquanta ero anche socio della signora Tron ma poi mi sono separato. C'erano problemi». « E dopo?». «Dopo non so più niente. Forse è andata via da Pinerolo. Aveva problemi». «Poi io ho portato il laboratorio ad Asti e ho continuato. Adesso sono passati quarant'anni, sono quarant'anni che faccio arazzi...» Allora improvvisamente mi sono ricordato: il suo primo arazzo Ugo Scassa l'aveva tessuto su un mio disegno... Mi si è acceso un ricordo come una lampadina, ma intanto Scassa raccontava memoria su memoria senza mai rallentare il suo entusiasmo, senza mai mostrare la più piccola fragilità, senza mai dubitare del destino consegnato agli arazzi da innumerevoli secoli.
Forse anche in
Piemonte quel destino si era preparato da secoli; forse aveva seguito le storie
dell'antica casa dei Savoia, i cui duchi giravano da un castello bianco ad un
altro, portandosi dietro tutte le volte i soldati, i cavalli, le armi, i cuochi,
le mogli, le amanti, i figli, i tavoli, le sedie, le cassepanche, i vestiti, i
piatti, le caraffe e anche gli arazzi. Si portavano dietro gli arazzi (come
facevano alla grande corte di Francia) per decorare gli alti muri di pietra dei
castelli dove andavano, di quei castelli vuoti e gelati che stavano sulle
montagne, sulle Alpi per proteggere i cosiddetti passi alpini strategici, per
proteggere i confini con la Francia e con la Svizzera.
I duchi cambiavano
i castelli anche con le stagioni, per le vacanze, e sempre si portavano dietro
gli arazzi e i servi li attaccavano sui muri e gli arazzi raccontavano le storie
delle loro passeggiate sui prati di primavera con le belle signore accompagnate
da graziosi e irruenti giovanotti che cantavano; c'erano anche giardini con
fontanelle per fare il bagno senza costume e c'erano storie eroiche di cacce nei
boschi e poi immense battaglie intorno alle città murate e anche storie eroiche
in generale; mitologie varie, per esempio le fatiche di Ercole, il ratto delle
Sabine, la morte di Patroclo... anche la caduta di Icaro, lo sbarco della regina
di Saba, paesaggi e tempeste..., soggetti non troppo religiosi. Gli arazzi
decoravano le sale di rumorosi banchetti e anche di agitate alcove.
Oggi i castelli
sono pochi; le lunghe. processioni delle corti, che vanno adagio da un castello
all'altro, con soldati, donne, masserizie e arazzi per le strade contorte delle
montagne, lungo i torrenti, attraversando le crepe geologiche delle rocce, non
ci sono più. Le autostrade sono diritte, i soldati stanno nelle caserme, le
bandiere sventolano per avvertire che c'è benzina, l'eroismo va sullo slalom
gigante e la discesa libera e tutte queste cose; ma... Il signor Scassa che vive in mezzo a quelle stesse colline dove giravano i duchi e le loro compagnie antiche, riesce con un lungo e profondo sospiro solitario, forse l'ultimo, a restituire quello spirito magico nel quale qualche volta finiamo all'apparizione di un segno, di segni, che chissà come, chissà perché ci lasciano spogliati davanti a noi stessi e noi stessi spogliati nel tempo rapido, nello spazio esageratamente vasto...
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